Messico e ugole

In conclusione, care amiche, vivo in un catatonico stato d’eccezione – come direbbe quel furetto dell’Agamben –, nel periclitante deserto di un con-dominio fin troppo affollato – come scriverebbe quel bel tomo dello Žižek – e, per giunta, le mie riserve etiliche si stanno esaurendo più rapidamente del previsto.

Care amiche vicine e lontane,

vi scrivo la presente per rassicurarvi sul mio stato di salute. So da buona fonte che nell’attuale pandemia avete nutrito qualche preoccupazione sul mio conto. Io sto bene, benché la confusione regni sovrana qua in Sudakistan, data la grande tradizione indigena dei comici al potere, i cui scherzi memorabili hanno divertito per secoli le popolazioni di questo imperituro continente: colonizzazioni, decolonizzazioni, rivoluzioni, colpi di stato, guerre sporche, nazionalizzazioni di banche, industrie e materie prime, privatizzazioni di banche, industrie e materie prime, usi autarchici e malthusiani delle pestilenze più birichine…

Essere riusciti a non estirpare né il colera, né il morbillo, né il dengue, per esempio, mi sembra di questi tempi una burla all’altezza delle più esilaranti celie delle teste d’uovo del pentapartito, o almeno delle selvagge fole dei bestioni post-operaisti della «rude razza padana». E poi ci chiamano «Terzo Mondo»!

Ma le «convergenze parallele» – per usare le immortali parole del mio consigliori spirituale – tra vecchio e nuovo mondo non finiscono mica qui: se in Italia c’è un nuovo caso di coronavirus ogni 50 tamponi eseguiti, in Messico abbiamo 50 o 500 nuovi casi (nessuno lo può sapere, nemmeno l’ottuagenario ministro della Sanità, «che facezia da Commedia»!) ogni tampone fatto.

Non ve lo posso nascondere, mie affezionate lettrici, la situazione è grave, anzi, gravissima: le femministe e i professori di scrittura creativa imperversano sulle reti sociali, annoiandole a morte, mentre il governo ha chiuso a tradimento le osterie, le fabbriche di birra e – quel che è ancor più pernicioso – i bordelli, in quanto «attività economiche non essenziali [sic!]». E osano (con somma improntitudine, bisogna dire) illustrarsi e illustrarci come una «repubblica amorosa» e «umanistica» che riconosce il valore fondativo dei baci e degli abbracci! Vari sindaci e governatori si sono spinti, in una fatale corsa in avanti verso l’abisso, fino a decretare il proibizionismo. Ma siamo diventati matti? Codesti folli baciapile stanno distruggendo lo spirito di un grandissimo paese! Alle mondane non hanno nemmeno concesso di fare homeworking. Insomma, qui non si tromba da un sacco di tempo. Se il povero nonno rialzasse il capo ed ergesse la sua gelida manina di delizioso e indomabile puttaniere, ne rimarrebbe inorridito. Per fortuna Nestore riposa in sempiterno sul fondo del lago Memphremagog insieme al più fraterno dei suoi amici, il conte Porchio, e non può assistere a cotanto scempio. Diciamo che quell’ultima zingarata gli è costata abbastanza cara… Ma sto divagando di nuovo, porca pupazza! Torno a bomba su quel che più ci occupa in questi mesi di duro confinamento: il proibizionismo, se guardiamo alle cifre, purtroppo non è servito a mitigare la violenza domestica, al contrario… la sospensione del campionato di calcio invece sì, perlomeno in Messico, dove giocano tutti così male che la domenica il ritorno dallo stadio sovente si converte in una carneficina famigliare.

Debbo confessarvi, care lettrici, che il mio maggior cruccio, oggidì, deriva dal fatto che neppure la Lupe, la mia vicina di ballatoio, me la dà più, ahimè, da quando ha scoperto che sono solito frequentare quelli che lei definisce, con singolare solerzia lessicale, «antri di perdizione».

Ogni tanto esco sul balcone e grido «voglio una donna!», ma lì sotto, a battere, ormai ci sono rimasti solamente i travestiti; a volte ci faccio un pensierino… no, non sarebbe una buona idea… oppure sì? In fondo, come diceva il nonno, in questa valle di lacrime abbiamo tutti bisogno d’amore. No, definitivamente non è una buona idea, oltretutto sono appena guarito da un’orchite particolarmente fastidiosa. Vabbè, vorrà dire che mi laverò le mani.  Un’altra volta… Can da l’ostia! La verità è che me le lavo senza soluzioni di continuità, per igiene, per allenarmi, per vizio (prima e dopo il vizio solitario, talvolta persino durante, poi vi spiego come faccio). E infatti hanno assunto una coloritura strana, distopica, che le differenzia nettamente dai rispettivi avambracci.

In conclusione, care amiche, vivo in un catatonico stato d’eccezione – come direbbe quel furetto dell’Agamben –, nel periclitante deserto di un con-dominio fin troppo affollato – come scriverebbe quel bel tomo dello Žižek – e, per giunta, le mie riserve etiliche si stanno esaurendo più rapidamente del previsto. Mi ha stupito oltremodo, piuttosto, l’assordante silenzio di quel vecchio marpione del Toni, uno che non stava zitto neanche in clandestinità. Che cosa sarà successo? Si sarà nuovamente calato il passamontagna? Lo avranno ricoverato alla Baggina? Sarà per la mascherina?

Ieri ero così disperato che mi sono letto da cima a fondo un articolo di Roberto Saviano (chiedo venia, per i postumi della sbornia mi si confondevano le righe sotto gli occhi e pensavo che si trattasse di un pezzo di Savinio): non c’ho capito una mazza, anche perché non pareva nemmeno scritto in italiano, ma mi sono subito sentito molto più liberal, nel senso dell’intellighenzia politicamente corretta, dalla quale noi latino-americani siamo simpaticamente considerati come dei terroncelli da acculturare il prima possibile (sarà per questo che la zolletta di zucchero di canna non raffinato viene chiamata «terrón de azúcar»?).

Dopodiché mi sono connesso al sito della casa editrice governativa – amministrata con mano di ferro da un fanatico della cultura cambogiana, Pol Pit, al secolo Paco Ignacio Taibo II –, al fine di dilettarmi della consueta supposta letteraria pomeridiana: era di scena nientepopodimeno che il viceministro della Sanità, un prestidigitatore che abitualmente fa magie con i numeri del contagio, il quale ha violato a soggetto una poesia di Miguel Hernández, rivelando ai libidinosi consumatori di delitti culturali che l’analfabetismo di ritorno continua a essere uno straordinario lubrificante per qualunque carriera pubblica.

Prima di congedarmi da voi, care lettrici, vorrei affrontare un dibattito che pure qua da noi si è sviluppato con una certa premura etica e con un certo spessore intellettuale, direi, quello sull’uso delle mascherine «altruiste» o «egoiste». Mi permetto in proposito di avanzare una modesta ipotesi che ho dedotto dallo studio degli unici due scienziati italiani di cui, dopo la fuga di Fermi, la scomparsa di Majorana e il Nobel alla Levi Montalcini, sento di potermi fidare, Lombroso e Pitigrilli: a mio avviso, in una nazione nella quale abbondano la bruttezza e l’obesità – i prezzi per una mezz’oretta con una bella gnocca sono saliti alle stelle, se non lo so io… –, le mascherine altruiste sono quelle indossate dai brachicefali, mentre quelle egoiste ci occultano l’ovale perfetto del volto delle dolicocefale bionde (scusatemi, oggi sono andato un po’ in fregola). Che ne pensate, gentili amiche? Attendo ansioso i vostri commenti.

Comunque – e cito un altro geniale figlio degli Abruzzi, come mio nonno – qui «la situazione è grave ma non seria», anche perché l’immunità di gregge noialtri intellettuali ce l’abbiamo sempre avuta. Se le cose peggiorassero, sarei disposto ad accettare virilmente il mio destino e perfino a sorbirmi un bicchierino di cicuta, visto che la tequila e il mezcal cominciano a scarseggiare. Mi sono già premunito: quando arriverà il momento supremo, mi suiciderò con un audiolibro di Baricco.

L’umil servo vostro,

Leandro

Un commento su “Messico e ugole

  1. Enza

    Non smetto di ridere per il suicidio con un audiolibro di Baricco. Dunque non posso rispondere al quesito delle mascherine egoiste e altruiste. Lo facciamo pervenire alla lubrificatissima task force ?