Le parole, una polvere bianca

La scrittura rappresenta questa strana radioattività dello spirito: la capacità di abitare la materia, la più semplice, la più povera, la meno “animata” – un’idea diventa una macchia di inchiostro, una superficie di cellulosa, e può, da questa infima esistenza, esercitare un influsso molto più vasto, potente e durevole di quello che esercita quando abita il cervello di un singolo individuo.

Immagine tratta dal catalogo della mostra LO SPETTRO DI MALTHUS di Marzia Migliora

Segregato, passo la maggior parte delle mie giornate seduto al tavolo. Le ore scorrono nella misteriosa coreografia delle mie mani, che tracciano strani ghirigori su una superficie bianca e liscia. Senza alcuna ragione apparente, distribuiscono aste e tratti discendenti, regolano rapporti tra fusti e grazie, tracciano, cioè, lettere su un foglio. Attività apparentemente non pericolosa. E però l’effetto di queste iscrizioni aniconiche sullo spirito è simile a quello di un ordigno nucleare sul corpo: al di là della immediata, violenta esplosione, un’influenza rimane, invisibile, imprendibile, irreparabile, per secoli.

La scrittura rappresenta questa strana radioattività dello spirito: la capacità di abitare la materia, la più semplice, la più povera, la meno “animata” – un’idea diventa una macchia di inchiostro, una superficie di cellulosa, e può, da questa infima esistenza, esercitare un influsso molto più vasto, potente e durevole di quello che esercita quando abita il cervello di un singolo individuo. La scrittura non è, come spesso la si è considerata, un ersatz, un sostituto della parola – anzi probabilmente con le parole e il linguaggio ha un rapporto accidentale. Noi ne abbiamo fatto qualcosa di consueto, di banale, di assolutamente inoffensivo, ma è una delle sostanze psicotrope più potenti che vi siano. L’effetto di queste tracce irregolari su chi ne fa uso è suscitare visioni, nel senso ampio del termine, includendo cioè tutti i sensi e la ragione: senza che vi sia alcun rapporto sostanziale con l’insieme di macchie che si hanno sotto gli occhi, si comincia a vedere, a sentire, a gustare, si comincia a pensare agli esseri assenti. Nulla di documentario, nulla di fotografico, nulla di realistico. Anche qualora si voglia davvero dire cosa si vede. Da questo punto di vista, ogni lettura è come assumere LSD o prender parte a una seduta di ayahuasca. Le parole sono una polvere bianca, o una bevanda di sgradevole sapore. Ma, un sorso dopo l’altro, di fronte a noi si delinea qualcosa che nulla ha a che fare né col nostro corpo né con il mondo che abbiamo attorno. Con una differenza decisiva: grazie a questa sostanza la visione si può addomesticare, si può indurre personalmente e soprattutto si può riprodurre a volontà.

Nella scrittura ha luogo il processo inverso a quello dell’assunzione delle droghe psicotrope. In questo caso, infatti, quel che permette di produrre la visione è una sostanza materiale, mentre nell’altro caso è la visione che permette allo scrittore di produrre la sostanza psicotropa (in fondo il linguaggio non è altro che questo), la quale permette di produrre e riprodurre la visione che lo scrittore ha vissuto. Anche per questa ragione il suo potere è tanto durevole, il suo uso è tanto esteso. Di queste visioni noi abbiamo infatti bisogno. Della vita che anima tutto quanto ci circonda, i nostri corpi si nutrono, ed è questa la ragione per cui siamo obbligati a mangiare: noi viviamo solo ingerendo e metabolizzando la vita esterna alle nostre anatomie. Per questa ragione abbiamo organi di senso: sono questi che ci permettono di essere attraversati da questa vita – luce, suono e rumori, sapori, dolcezze nelle forme più disparate.

E tuttavia esistono porzioni di queste vite che non possono essere integrate né attraverso l’alimentazione, né servendosi degli organi di senso. È la scrittura che ci permette di ottenere con altri mezzi quel che facciamo mangiando e percependo il mondo: vivere tutta la vita che ci circonda, e lasciarci attraversare da essa. La scrittura produce una intimità tra tutte le cose e tutti gli esseri viventi che è anteriore all’ordine di prossimità costruito dalla nascita, dall’alimentazione e dalla percezione. Produce una continuità spirituale là dove non vi è una continuità diretta di altro tipo. Tutti gli esseri, gli uni negli altri, non cessano di inventare modi per penetrarsi reciprocamente, per vivere ciascuno la vita degli altri, per diventare l’altro. È così che la vita di ciascuno di essi può passare di corpo in corpo, di individuo in individuo, di specie in specie, di luogo in luogo, da un tempo all’altro. La scrittura e la visione cui dà accesso sono allo stesso tempo la genesi, l’evidenza e l’archivio di questa continuità. Non vi è nulla di intellettuale. Si tratta di una iniezione di vita nella sua sostanza pura, chimica, sensibile, visionaria: vita concentrata in gocce di inchiostro i cui poteri sono inesauribili, incoercibili. Ogni scrittura non è che lo stratagemma inventato dalla vita per penetrarci, cambiarci per sempre, e andarsene altrove. Ogni scrittura permette alla vita di non appartenere mai a nessuno, di restare un’eterna vagabonda.

[Questo testo è stato pubblicato in francese su Libération (www.liberation.fr) il 6 novembre 2020, a questo indirizzo: https://www.liberation.fr/debats/2020/11/06/les-mots-c-est-de-la-poudre-blanche_1804871. Ringraziamo Emanuele Coccia e Libération per l’autorizzazione. La traduzione dal francese è di Barbara Fiore]