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Subito era nata una riflessione su come un oggetto, pensato, fabbricato, utilizzato in modo coerente con la cultura che lo ha prodotto, quando sia separato dal suo ambiente e trasportato altrove, presso una società lontana che ne stravolge la funzione, non perda la sua identità ma, in una sorta di rite de passage, acquisisca un nuovo status a seconda dello sguardo che ad esso si rivolge: di objet témoin della cultura che lo ha prodotto, per l’antropologo; di oggetto artistico, per l’esperto d’arte; di oggetto di analisi, per lo storico; di oggetto da collezione per il collezionista; di curiosità, per il visitatore di passaggio, così che tutte le sue dimensioni, funzionali, estetiche, simboliche vengono alla luce.

Nel 1948 usciva in Francia un testo di letteratura orale destinato a diventare rivoluzionario per lo studio della cosmologia e del mito, ma soprattutto per lo studio della parola e dell’espressione, attraverso la parola, del pensiero simbolico. Il libro è il celeberrimo Dieu d’eau [1] in cui, diviso in trentatré giornate, fluisce il racconto del mito [continua]

1. La leggenda della pazzia swiftiana Quando il reverendo dottor Jonathan Swift, decano nella cattedrale di San Patrizio a Dublino, completa la stesura dei Viaggi di Gulliver, ha ormai superato la cinquantina ed è in disgrazia politica. Vive in esilio e isolamento nella tristissima Irlanda di allora, per giunta afflitto da una labirintite cronica che [continua]