Seminario internazionale sul romanzo

a cura di Walter Nardon

(…) Una domanda sembra essere al centro di questo momento estetico: perché l’arte per essere tale ha sempre più bisogno di «realtà»? Perché il «documento» concorre in misura così invasiva alla creazione? Un tempo non molto lontano il romanzo inglobava il saggio. Oggi, sembra avvenire il contrario. Mi chiedo: ciò dipende dal fatto che la nostra percezione fantastica del mondo si sta sempre più indebolendo, o meglio, è sempre più oppressa e sterilizzata dalla percezione documentaria dei fatti, delle informazioni, tanto che non riusciamo più a concepire un romanzo come una finzione?
La serietà dei fatti ha vinto sulla non serietà dell’arte, sulla libertà e sullo spazio ludico, tanto che il romanzo non gioca più con il «documento», ma il «documento» sembra bastare a se stesso, riproducendo al massimo varianti del romanzo a tesi o del roman-enquête? Se le cosse stessero così, staremmo vivendo una tappa ulteriore di quella tradizione che Carlos Fuentes chiama di «Waterloo», realista, di costume, naturalista, concorrente del registro civile, che ha dato i suoi migliori frutti nel XIX secolo, la quale si contrappone alla tradizione della «Mancha» che, nata come «un contrattempo della modernità trionfante» con Cervantes e continuata nel XVIII secolo con Sterne e Diderot, è al contrario un invito al gioco, al sogno, al pensiero e alla celebrazione della finzione. Alcuni segnali potrebbero indurci a seguire questa pista. Se li seguissimo sino in fondo, potremo ritrovarci in piena crisi regressiva. E, soprattutto, senza complessi di sorta, avendo smesso da un pezzo di leggere Stendhal, Balzac e Flaubert. Bisognerebbe anche chiedersi se questa riduzione dell’arte a documento, del romanzo a cronaca e a «registrazione» dell’attualità, tipica di epoche di euforia scientifica e di entusiasmi storici, non sia invece la conseguenza del nostro estenuante relativismo e del nostro disincanto rispetto alla possibilità di dialogare con il passato antico e prossimo. Ma può essere che ci siano altre piste. Si potrebbe concepire, ad esempio, questo bisogno dell’arte di nutrirsi di realtà documentaria come una forma di «moralità», di «testimonianza», un desiderio di dimensione autenticamente tragica contro l’irresponsabilità degli effetti speciali di una cultura altamente disneyzzata. O come una nuova forma di engagement contro il romanzesco, il Kitsch, il feuilleton dilagante. O, ancora, come una forma di difesa contro l’esotismo letterario, inteso come malattia endemica del mondo globalizzato (…).

 

MASSIMO RIZZANTE

Questo saggio di Simona Carretta è stato precedentemente pubblicato sul numero 80 della rivista francese «L’atelier du roman» (Flammarion, dicembre 2014), che ha dedicato un dossier alla romanziera Anna Maria Ortese, «Anna Maria Ortese. Place aux Sudistes», con contributi di scrittori e critici italiani e francesi. Il testo di Carretta, dedicato in particolare al Cardillo addolorato (romanzo pubblicato da Adelphi nel 1993 e in Francia vincitore nel 1998 del Prix du Meilleur livre étranger), è qui proposto per la prima volta in italiano e con alcune lievi modifiche rispetto all’originale.

Nei prossimi giorni gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado saranno impegnati nello svolgimento dei cosiddetti test INVALSI. In questo saggio, pubblicato nell’ultimo volume del “Seminario Internazionale sul Romanzo” dell’Università di Trento, il lettore è invitato a interrogarsi su tutto quello che, con l’avvento della logica delle “crocette”, è andato perduto in termini di abilità compositive e creative.

1. Il genere poliziesco è stato definito come un racconto mate­rialista ossessionato dai fatti e dal denaro. È di tradizione nordame­ricana e nasce con alcuni racconti di Edgar Allan Poe che, come sappiamo, visse la sua età adulta in costanti ristrettezze economi­che. In Poe, tuttavia, il denaro non è ancora un rumore di fondo continuo; [continua]

Questo contributo è tratto da Pro e contro la trama, a cura di Walter Nardon e Carlo Tirinanzi De Medici (Trento, Editrice Università degli Studi di Trento, 2012), volume che raccoglie interventi di Gianni Celati, Massimo Rizzante, Walter Nardon, Carlo Tirinanzi De Medici, Andrea Inglese, Lakis Proguidis, Giorgio Vasta, Simona Carretta, Wada Tadahiko, Daria Biagi, Stefano Zangrando, Miguel Gallego Roca, Silvia Annavini e Roberto Francavilla.

Nella sua epoca, l’epoca delle avanguardie, l’opera di Macedonio Fernández sembrava concepita per un lettore futuro, abitante di una città virtuale, capace di provare un’intensa commozione per mezzo delle parole e disposto a demolire tutti i miti sui quali si era andata creando la sua personalità. Un lettore eccezionale nel XX secolo ma, per ragioni [continua]

Non esiste maggior vivaio di pettegolezzi dell’ambiente aristocratico dei Guermantes. Il duca Basin, sua moglie, la duchessa Oriane, e gli altri animatori del Faubourg Saint-Germain, quartiere generale della mondanità parigina, non perdono occasione di prendersi gioco di amici e conoscenti, consci del loro prestigio sociale, a cui sembrano associare, come basando tale corrispondenza su una [continua]