Introduzione a Il desiderio infinito

Da l’Unità del 28 marzo 2004, p. 25. ENRICO DE VIVO e GIANLUCA VIRGILIO introducono il testo di Gianni Celati, Il desiderio infinito.

di in: Rassegna stampa

Un giorno forse qualcuno si prenderà la briga di raccogliere tutti gli interessantissimi articoli apparsi su questo giornale a margine dell’intervento di Romano Luperini, che pensiamo fosse ben lontano dal supporre, quando scriveva il suo pezzo, che avrebbe suscitato tante reazioni. Col senno di poi queste reazioni sembrano più che prevedibili, perché Luperini forse ha commesso la leggerezza di misconoscere tanta e tale intellettualità vivente, la quale subito si è sentita in dovere di prendere la parola, per affermare la propria esistenza e, dunque, la propria verità. Ciascuno ha potuto mostrare che cosa intende col termine letteratura, ciascuno ha potuto mostrare quale sia il proprio atteggiamento intellettuale, cioè come si dispone dinanzi ai fatti della letteratura. Ne vedrà delle belle chi un giorno si prenderà la briga di cui sopra!

Intanto anche noi vogliamo portare un piccolo contributo alla discussione, riferendo alcune parole di Gianni Celati, che abbiamo ascoltate e raccolte la sera del 31 gennaio 2004 a Frascati, quando Celati ha intrattenuto un gruppo di amici lì convenuto con una sorta di recita, un canto amebeo in cui dialogava con Giacomo Leopardi, e in particolare con alcuni frammenti dello Zibaldone. In questo canto abbiamo scorto, al di là di qualsiasi tentativo di attribuirsi significatività intellettuale o spessore critico, quasi alla stregua del discorso pronunciato dall’Ecclesiaste biblico, un potente richiamo all’attualità concreta della vita umana come mancanza e mistero, in cui di nuovo e reale non c’è mai nulla, a parte il nostro dolore e le nostre illusioni. Noi pensiamo che quando dalla cultura, dai libri, dai dibattiti, dal sistema delle idee di una società scompare un tale sentimento della vita, scompare il punto di partenza di qualsiasi azione umana, è come smarrire la strada – svanisce l’orizzonte di senso di ogni cosa, anche della letteratura e della politica, e tutto diventa astratto ed esibizionistico, superfluo.

Ci sembra, insomma, che da questa recita di Celati risuoni benissimo un’eco di quella che doveva essere la domanda-fulcro di questo dibattito: che senso hanno la letteratura e la cultura in questa civiltà che osanna soltanto il “nichilismo negativo”, per dirla con Nietzsche, e sembra ormai giunta al culmine dell’affettazione e dell’inautenticità?

Celati, partendo da Leopardi, inanella una serie stupefacente di analogie inerenti alla nostra società, alla nostra cultura, alla politica e al sistema della cosiddetta letteratura, e non sarà difficile, per chi ha seguito il dibattito che si è svolto su l’Unità , cogliere assonanze e riferimenti piuttosto chiari, seppur incalcolati, negli stralci della sua recita.

I passi che riportiamo hanno forma parlata e quindi molto poco “letteraria”. Segnaliamo infine che sul nostro sito (www.zibaldoni.it), a partire dalle prossime settimane, sarà disponibile anche tutto il dibattito, interessantissimo, che è seguito al canto amebeo, con interventi di Antonio Prete, Novella Bellucci, Andrea Cortellessa e molti altri.