Presiden arsitek/ 9

di in: Presiden arsitek

a Alessandro Lise

 

“Ma io voglio essere aiutato.”

Le parole più umilianti che un “occidentale” (ma tutto è occidentale se avanzi sempre in direzione del tempo, cioè verso il tramonto) dice nella propria vita sono quelle che si dicono a uno “psicologo” o a uno “psicoanalista” (termini in apparenza innocui ma che, purché si rifletta con serenità e franchezza sul loro significato, sono terrificanti, prova irrefutabile dell’esistenza di una società di tale perfetta e adamantina indifferenza per le sorti dei propri membri da aver creduto necessario sottoporre la psiche alla geometrica maciullazione del logos e dell’analisi, maciullazione talmente efficace e orribile che più d’un “lettore” (NOTA: Per una sua segreta e non sappiamo quanto sgradevole (leggi: quanto diffusa, in quanto certamente in ogni caso altrettanto segreta in chiunque altro eventualmente la pratichi) idiosincrasia, il medico del quale si riportano qui quel tanto che si può i pensieri indulgeva a volte nell’estendere tra sé e sé detti pensieri in forma di agili trattatelli con tanto di affabili cenni a lettori che, per comodità del nostro lettore, abbiamo deciso di racchiudere tra virgolette: pertanto, nel contempo chiudendo la parentesi, più d’un “lettore”) di fronte a queste righe alzerà le sopracciglia e sospirerà mentalmente un “…ih, ancora con l’anti-psicologia…”, sospiro e movimento di sopracciglia che, riconosciamolo, condividiamo anche noi e anzi lusinghiamo delle più varie sofisticate virtù, quando non è che aria infetta che sbuffa dalle vene torturate della psiche, ormai tanto abituate all’emorragia e alla vivisezione da considerarle condizioni naturali, nonché desiderabili).

 

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La cosiddetta Undecima di Mahler, meglio nota come sinfonia Stella di mare, fu composta quasi interamente nel celebre bungalow ligure in cui il maestro amava aspettare l’estate.

 

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“Ma io voglio essere aiutato.”

Letteralmente sciolto in quel pianto metafisico e edenico che ci trasforma in fontane di lacrime, lacrime che scendono non più solo dagli occhi ma anche dal naso, dalla bocca, fammi un po’ vedere, sì, persino dalle orecchie, lacrime da tutti i sette buchi che abbiamo in testa, buchi finalmente restituiti in toto alla loro originaria funzione di mero non-selettivo passaggio per la materia attraverso la materia, quasi un voler tornare ad essere spugne vagule nel brodo primordiale, “Ma io voglio essere aiutato”, lacrime mescolate a sbava, catarro, muco e parole, perché poi sono sempre le parole che innescano quel tipo di pianto squartante, dimenticatevi pure tutte le sciocchezze orientali sul vuoto, dimenticate tutte le sciocchezze contro le parole che attraverso le parole vi sono state inculcate: il veicolo è la parola, anzi la parola è l’unico, il solo Veicolo; il problema è che quasi nessuno è in grado ovvero ha il coraggio di vedere dove quel veicolo ci voglia portare… ma poi sarebbe sufficiente abbandonarsi del tutto e con tutti se stessi al pianto e piangere fuori di sé tutta l’acqua marcia che ci ostiniamo a chiamare carne, “Ma io voglio essere aiutato”, questo significano le allucinazioni popolari in cui le statue dei santi piangono lacrime: che siamo solo sacche di pelle in cui l’acqua si è fermata a stagnare per troppo tempo facendosi carne, imbuti ostruiti. Il Veicolo è la parola e noi, anche tu che mi “leggi” (NOTA: cfr. supra), noi non siamo niente.

“Ma io voglio essere aiutato.”

Sarà possibile piangere sangue, piangersi fuori il cervello dalle orecchie e dal naso come un faraone che viene preparato per l’aldilà, e così una benedetta volta guarire?

“Ma io voglio…”

E piangersi fuori dalla bocca tutti gli organi e le ossa fino a rivelarci per quello che siamo: sacche di pelle in cui momentaneamente l’acqua si trattiene, marcendo. La marcescenza è l’origine, non la fine di ogni forma; senza marcescenza non ci sarebbe che uno spazio bianco, e lo spirito di Dio aleggerebbe senza costrutto su acque incontaminate.

L’unico Veicolo è

“Allora lo devi chiedere.”

“Ma io lo sto chiedendo.”

“No.”

l’unico Veicolo è la parola, e dove la parola ti condurrà sarà infallibilmente all’umiliazione completa, perfetta, all’inginocchiamento. Ecco dove porta il Veicolo. L’unica meta che ti è permesso raggiungere. Attraverso la parola tu ti piegherai sulle ginocchia, e cadrai sulle ginocchia, e lacrimerai fino all’ultima goccia d’acqua marcia dai sette buchi della tua testa, e quando avrai pianto l’ultima goccia scoprirai che inginocchiarsi non è più possibile ovvero non è più sufficiente, e imparerai che occorre prostrarsi di fronte al sovrano ai piedi del quale ti sei pianto. Ecco, così. Pròstrati. Così si confà alle brave sacche di pelle beneducate.

 

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Il modo migliore per arrivare al bungalow è in bicicletta, lungo scogliere alte centinaia di metri rese incandescenti dal profumo dei papaveri, con Sarahs che si volta e pedalando ride e per poco non precipita in mare e allora la morte la fa ridere ancora di più, la fa quasi ragliare di gioia come se volesse inghiottire il sole e tutto l’azzurro e poi di colpo ruttar fuori la notte e le costellazioni, e se solo Sarahs si voltasse ancora il tuo cuore si incenerirebbe all’istante nel grido rauco e triste di un invisibile uccello tropicale.

 

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“Tu lo stai dicendo, non lo stai davvero chiedendo.”

“Io v…”

“Lo so che lo vuoi; abbiamo un’altra mezz’ora di tempo: hai intenzione di usare anche quella per continuare a dirmelo?”

 

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MILOS: Una delle Carte che avevo creato e che consideravo la più riuscita era quella di un giovane centauro. E tuttavia era ed è una delle Carte più disprezzate. Il disegno di presentazione del Giovane Centauro era in bianco e nero e aveva un tratto molto scarno, contrariamente a quello di quasi tutte le altre Carte che erano colorate e ricche di dettagli; “Non ci si stanca mai di guardarle” aveva scritto uno degli utenti più rispettati di un forum per giocatori, e uno dei motivi per cui era nato il Giovane Centauro era stato proprio per irritare persone come quella, che poi erano il target medio cui la ditta ludica per cui lavoravo si indirizzava, il che forse significa che quando ho creato il Giovane Centauro ero molto infelice, ma se teniamo conto che la molla che spinge il target medio cui le nostre carte da gioco si rivolgono, la molla che lo spinge ad acquistare la nostre Carte è una profonda disperazione, forse il Giovane Centauro era stato il mio modo per offrire ad alcuni di loro una via d’uscita dal Gioco [NOTA PER L’UFFICIALE INCARICATO: Allo stato attuale delle indagini resta ancora da determinare l’eventuale legame tra il Giovane Centauro e la “specie di centauro” che alcuni tester del videogioco NITA™ sostengono di aver intravisto o di aver sentito mormorare stupidi doppi sensi con una voce la cui modulazione è quasi indistinguibile da quella del vento tra le piante di Sherwood; si invita pertanto alla massima prudenza in merito: l’esperienza ha ampiamente dimostrato quanto possano essere catastrofiche e dispendiose in termini di risorse umane e finanziarie indagini intorno a identità apparenti] e forse in futuro anche dalla disperazione… Un segnale perché sapessero, a un qualche livello quanto si voglia subliminale, che qualcuno nella produzione del Gioco pensava realmente a loro. Tutte queste cose una persona infelice non le fa.

 

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VALMARANA: Qualche anno fa Brušek mi ha mandato in certe isole dell’Oceano Indiano per catturare alcuni esemplari selvatici, e sono capitato in un villaggio dove gli adulti si segano i denti. Apposta. Dicono che non fa male. (Pausa.) Mi piacevano quelle isole. Catturavo gli esemplari selvatici usando pappagallini e pipistrelli. (Sottovoce.) Pappagalli e pipistrelli; pappagalli e pipistrelli. (Pausa. Voce normale.) L’importante era che gli esemplari venissero catturati vivi. Per la verità gli esemplari sono poi quasi tutti morti durante il viaggio di ritorno, ma Brušek li ha usati lo stesso, ha detto che anche da morti magari potevano servire a qualcosa, e che il mio viaggio non era stato inutile. (Pausa.) Quando la Pomata Cicatrizzante sarà pronta tutti ne vorranno un tubetto in casa. Per ora tiriamo a campare con gli effetti collaterali (Pausa.) Gli esperimenti invece no, quelli sono orribili. (Pausa.) Brušek è orribile. Bisogna rassegnarsi. (Pausa.) Lo odio. (Pausa.) A volte per scherzo lo chiamo “padrone”, perché a volte mi sento come se fossi anch’io uno dei suoi animali. Ma se lo fossi davvero ora sarei morto anch’io, come tutti gli altri. Sarei morto anche se non me l’avesse detto. E poi se me l’avesse detto che razza di cavia sarei. Però questo mica vuol dire che sono un idiota, anzi è proprio per questo che a volte per scherzo lo chiamo padrone, perché sia chiaro che non sono un idiota. No. (Pausa.) Non sono un idiota. O forse l’esperimento che mi riguarda è diverso, e non deve per forza concludersi con la morte. (Pausa.) A volte sogno esperimenti che non ricordo di aver mai condotto. Sogno il primo momento in cui ho pensato di utilizzare i gatti, e questo non può essere un mio ricordo, perché fino a quando non ho incontrato Brušek io non ho mai pensato a usare gatti, anzi non ho mai pensato ai gatti in generale, figuriamoci ad usarli. Una volta ci facevano le corde alle arpe. Prlìn prlìn. Budella di gatti. (Pausa.)

 

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MILOS: Ricordo che in quello stesso periodo avevo cercato di raccogliere in una specie di antologia privata tutte le motivazioni espresse nel tempo a favore della pena di morte. Io stesso mi ritenevo favorevole alla pena di morte e ritenevo fosse un segno del mio invecchiamento o del fatto che stavo ritornando bambino, penso quasi tutti i bambini sarebbero favorevoli alla pena di morte. Ovvero la darebbero per scontata. La mia antologia sarebbe dovuta culminare con la mia personale e magistrale giustificazione della pena di morte, ma tutto il progetto era rimasto un disegno nella mia testa e con il tempo era sbiadito; ogni tanto cerco di ricordare perché fossi favorevole alla pena di morte; non lo so più, ma a volte mi sembra di tornare ad afferrare quella verità che mi faceva sentire diverso, meno codardo degli altri, fuori dal tempo, felice. Il Giovane Centauro ha due cazzi, uno da cavallo sul didietro e uno da uomo sul davanti. Due bianchi non-pornografici cazzi michelangioleschi. La linea del disegno è quella di certi fumetti italiani degli anni ’70-’80, diciamo a la Magnus. Sia il corpo del cavallo che quello dell’uomo sono piuttosto magri. La schiena dell’uomo è dritta, e con quella del cavallo forma un angolo di novanta gradi; la congiunzione tra la fine della schiena del cavallo e l’inizio di quella dell’uomo si incurva in modo dolce e deciso. Spesso osservavo quella linea dorsale contronatura chiedendomi cosa si proverebbe a venire accarezzati in un punto del genere. Se la carta avesse avuto successo (ma non lo ebbe, a dispetto di quei meccanismi io-non-sono-il-target-medio con cui vengono catturati quelli che possiamo chiamare meta-target, il consumatore che vuole distinguersi dagli altri consumatori eccetto naturalmente che per il fatto di consumare, e allora che tu lo voglia o no rimani un target – in effetti molte delle considerazioni fatte ai vertici del marketing coincidono con quelle di vari collettivi rivoluzionari di estrema sinistra — uno dei passi avanti compiuti dal potere è stato quello di rendersi conto che non censurando i samizdat si sarebbe potuto allestire un nuovo arsenale psichico con il quale finalmente togliere il respiro alla rivoluzione; posto che la rivoluzione è movimento, un potere in continuo movimento non subirà mai alcuna rivoluzione, e una delle manifestazioni più pure del movimento nella società è appunto la moda, e se solo si facesse un censimento di quanto lessico rivoluzionario viene utilizzato nel lancio di un nuovo prodotto si capirebbe che in fin dei conti gente come Bakunin o se preferite Confino – o perché no gli stessi Mazzini e Pisacane – ma sto divagando. Il Giovane Centauro ha un taglio di capelli che andava di moda qualche anno fa ed era noto come Ciuffo a Banana. Il C. a B. consiste in un taglio da skinhead eccetto che per la striscia di capelli dell’attaccatura frontale, che viene lasciata lunga e sistemata con molto gel in modo da risultare molto simile a una banana o, se i capelli sono sufficientemente ricci e hanno il colore giusto, a uno stronzo fresco. Il che naturalmente non è il caso del Giovane Centauro, che ha i capelli neri e lisci e vive in un Texas stereotipicamente western che è tutto l’opposto rispetto alle fosforescenti e brulicanti latebre fantasy che ospitano quasi tutti gli altri personaggi del Mazzo di Carte, e nel mondo western il Giovane Centauro è vittima dei lazzi di una legione di figurine che nei miei ambiziosissimi progetti avrebbero dovuto seguire la Carta del GC fino a squadernare in un big bang di nuove carte tutto un universo parallelo western popolato di ciclopi ectoplasmici e lunghissimi impersonali serpenti preistorici sotterranei talmente longevi e dal metabolismo talmente lento che parte del loro ciclo vitale prevede la fossilizzazione in vivo di segmenti del proprio corpo, draghi trasparenti, insomma un autentico spin-off del Gioco, con una propria serie animata in TV, interviste, premi Oscar, candidature al Nobel, invidie e gelosie di più blasonati “colleghi” (le virgolette sono cioè erano loro, cioè degli invidiosi – ed io nel corso di un’intervista immaginaria, dall’alto della mia gloria, le ricordavo e accettavo, con ironica condiscendenza, artigliando medio e indice di ciascuna mano nel gesto virgolettante che mi è sempre sembrato goblinescamente maligno)) avevo già cominciato a progettarne la radiografia, da utilizzare per una nuova Carta Occulta – solo questo, quando si tenga conto della rarità delle Carte Occulte e del loro valore per i collezionisti, basta a dare la misura delle mie ambizioni — e ciò che più di ogni altra cosa mi metteva in difficoltà era riuscire a concepire la struttura vertebrale del punto mediano tra le due schiene — – quasi ogni animale fantastico pone un problema simile, l’anatomia cioè della congiunzione tra le due o più nature di cui l’animale è combinazione – una falsa difficoltà in effetti, quando si pensi che noi tutti siamo come creature fantastiche, è solo una questione di termini capire che condividiamo con loro la stessa palese impossibilità ad esistere, lo stesso abissale mesto sguardo da illustrazione rinascimentale – quanto è più a suo agio l’essere umano con le sue morbide ramificazioni coralline nella tavola di un vecchio libro di anatomia, anziché nella realtà! Le illustrazioni dei libri di scienza sono il suo vero habitat, il suo eden. E lo studio dell’anatomia è la scoperta e sistematica dimostrazione, strato sopra strato sopra strato, della nostra irrealtà, della nostra appartenenza a un regno immaginario, e l’anatomia e l’embriologia comparate dimostrano che se ci si strappa di dosso la pelle e ci si strappa di dosso il tempo si comprende che aboliti pelle e tempo esiste un solo unico continuum vivente tra le forme, una vasta e tremula provincia di sangue e tessuti di cui noi siamo solo una delle infinitesimali periferiche articolazioni.

Come potremmo, se non esistesse, immaginare l’anatomia del polso, nostra personale e raffazzonatissima zona di congiunzione tra l’essere albero o serpente e che so, l’essere un ragno bianco o una stella marina?

 

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VALMARANA: Di persona l’ho visto solo tre volte, una quando mi ha dato l’incarico, e lì mi ha detto che era costretto a darmi quell’incarico, l’altra quando sono tornato dalle isole con le gabbie degli esemplari selvatici, e la terza… (Pausa.) Urlavano come bambini, intrappolati in quei cassetti cubici. Lo sanno tutti che sembrano dei bambini. Brušek mi aveva dato istruzioni molto precise, e mi aveva raccomandato di usare la gabbia che lui aveva progettato. Più che una gabbia, sembrava un grosso schedario di metallo, con cassetti quadrati. In ogni cassetto dovevo infilare un esemplare, poi chiudere il cassetto a chiave. A sentire gli esemplari intrappolati nello schedario, i marinai a momenti facevano una rivolta e buttavano tutto quanto in mare, me compreso, con i miei pipistrelli e i pappagalli. (Pausa.) Mi ci ero affezionato. (Pausa.) Per lungo tempo dopo il mio viaggio, non si è fatto vivo, poi sono cominciate ad arrivare le scatole. Una al giorno. A volte ci sono dentro esemplari, a volte ci sono dentro delle pomate, a volte tutt’e due. Io devo applicare le pomate sugli esemplari, tutto secondo le istruzioni. Il mio compito è numerare le scatole e sistemarle nel laboratorio, in attesa del suo arrivo. Dentro le scatole ci sono degli esemplari. Sinora, tutti gli esemplari delle scatole erano già morti. Non importa, io devo applicare le pomate, sia che siano vivi sia che siano morti. E naturalmente devo obbedire alle istruzioni, se ce ne sono. (Pausa. Guarda le garze. Legge le istruzioni.) Ecco qua. (Apre la pomata. La annusa. Se la spalma addosso. La pomata ha un immediato e fortissimo e visibilissimo effetto psichedelico. Dopo che l’effetto della pomata è entrato a regime, Valmarana nota le due pere. Le guarda con amore e tenerezza sempre crescenti. Imita il loro sorriso. Le prende con grandissima attenzione, come fossero pulcini. Le sistema sul tavolo davanti a sé e le carezza pian piano con un dito) Tu sei la più cicciotta, e tu sei la più bella, tu hai degli occhietti da cerbiatta, tu hai un cuoricino tutto d’oro. (Si guarda intorno, come sbalordito dal fatto che nessuno si sia accorto di quanto simpatiche, fragili e bisognose di dolcissime e divertentissime cure siano le sue pere.) Ecco dov’erano finiti i miei bei musini, ecco dov’erano finiti i miei due pasticcini. E queste belle guanciotte tutte rosse, eh? Tutte rosse. Oh, poverina, ma tu hai preso freddo, hai la febbre… e tu? senti qua com’è duro questo pancino, eh no signorina, così non va, commetto che ieri qualcuno ha bevuto il latte freddo senza metterlo neanche un minutino sul fuoco. E dove sono i vostri pigiamini, eh? (All’uomo mascherato) Va’ subito a preparare una bella borsa di acqua calda per i miei due pulcini. Avanti, va’, va’. Come? Come dite? (Alle pere) Oh sì sì sì, avete ragione, avete ragione. (All’uomo mascherato) Mi raccomando, non farla troppo bollente, non vogliamo che a qualche pasticcino qui presente si scotti il sederino, vero? (L’uomo mascherato esce.) Ecco qua, sistematevi qua, è ora di dormire. Tu, hai fatto i compiti? Hai ripassato inglese? E tu? E il bagnetto ve lo siete fatte? Non prendetemi in giro, non lo sopporterei, lo sapete come soffro quando mi dite le bugie. Avanti fate sentire. (Le annusa. Soddisfattissimo) Siete due fiorellini. Come vi voglio bene, siete la gioia del mio cuore. Anche la mamma vi vuole bene, non è vero cara? (Guarda la striscia di carta.) Cara? Cara? Non è vero che vuoi un bene grande grandissimo ai nostri due pasticciotti stracotti musotti? Eh? (Pausa. Alle pere) La mamma è stanca adesso, ma mi manda a dire che vi vuole bene e vi ama ogni giorno di più e che farà tutto per voi, tutto il suo cuore di mamma vi darà. Sì (Le carezza. Entra l’uomo mascherato con la borsa dell’acqua calda.) Oh bene. Giusto in tempo. Ci sono giusto delle cipolline mezzo congelate che chiedono un po’ di buon vecchio teporino. (Rispondendo alle immaginarie proteste delle due pere) Ma sì che siete due cipolline, che siete due cipolline, se ve lo dice il papà vuol dire che lo siete no? (All’uomo mascherato) Da’, da’. Ecco. Sentiamo un po’, non vogliamo che sia troppo calda, vero? Non ci piacciono le cipolline lesse, vero?

 

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“Ma io voglio…”

Perciò dovrai prestare estrema attenzione prima di abbandonarti alla parola (ma sia chiaro fin d’ora: a nient’altro ti potrai mai davvero abbandonare; sì perché magari credi di poterti abbandonare ad altro, credi sia possibile abbandonarsi alla musica, alla pittura, alla scultura, all’avventura, alla danza, alla droga, al poker, all’amore, alla corrente del fiume, a quel che ti pare: no: no; no, di tutte queste altre cose ti potrai al massimo agghindare, come un cavernicolo con una pelle di mammut; ma se davvero ti vuoi abbandonare, per te non c’è e non ci sarà mai altra realtà che la più tremenda e implacabile: tu non avrai altro che la parola): dovrai scegliere con la massima cura il sovrano ai piedi del quale, infallibilmente, ti prostrerai piangendoti in una pozzanghera d’acqua marcia. Questa è la scelta più importante… ma non perché sia poi davvero importante: semplicemente, non te ne sono concesse altre. Quindi diciamo che questa è più che altro l’unica vera scelta che hai, tu miserabile vagula spugna di pelle: quale sovrano affliggere col deprimente spettacolo tuo annientamento?

“Non lo sapevo che le avrebbe fatto… che era veleno… Io andavo di là per ascoltare…”

Ebbene? Non hai mica tutta l’eternità per decidere. Qual è dunque il sovrano ai piedi del quale ti lacrimerai e ti prostrerai? Vuoi che sia un altro essere umano come te? Vuoi che sia “la persona che ami”? Vuoi che sia uno “psicologo”? Allora cazzo lo devi chiedere.

Solo che per oggi il tuo tempo è scaduto.

 

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Seestern Symphonie. Quello che qui ci interessa sono le polaroid che Sarahs ha scattato quel giorno. Nelle foto non si vede che la sua mano sinistra dentro l’acqua del mare, ma un osservatore sufficientemente disperato indovinerebbe la lontananza abissale degli occhi di Sarahs mentre si concentra sull’inquadratura, alle sue spalle il bungalow di Mahler con le sue assi bianche assurdamente tarlate di intagli tirolesi, come una bava lasciata sugli oggetti dall’altrettanto assurdo Impero Austroamazzonico nel suo immane millenario viaggio verso l’oceano.

 

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MILOS: La difficoltà si dissolve nel momento in cui non vediamo nessun passaggio ma un solo corpo: non c’è un serpente e poi una stella marina, sono solo un braccio e una mano; e così è con l’anatomia degli animali apparentemente fantastici. Perché gli angeli non ci appaiono mostruosi? Da un certo punto di vista è come se avessero un altro paio di braccia che gli esce dalle spalle. Vivendo sopra un negozio di mangime per uccelli non riesco a non pensare agli angeli come a uccellastri che sbatacchiano berciando lungo le costellazioni, scacazzando radiazioni di fondo e cantando con alito che sa di miglio. Come sono fatte le scapole degli angeli? Come possono sbattere le ali senza che in qualche modo anche le braccia si muovano con loro? Ma sto divagando. Il mio problema dicevo riguardava il punto di congiunzione tra le vertebre del cavallo e quelle dell’uomo. Il midollo del Giovane Centauro doveva essere protetto dalle vertebre, ma come fare nella zona in cui il dorso si piega ad angolo retto? Avevo pensato a una sorta di restringimento dello spessore delle vertebre, che nel punto di congiunzione sarebbero state poco più spesse di bracciali in osso, in modo da poter accompagnare nel modo più dolce possibile la curvatura del midollo, un po’ come nello snodo delle cannucce pieghevoli, anche se questo avrebbe reso quel punto il più delicato e esposto di tutto il corpo del giovane centauro, il che non poteva non avere conseguenze sul suo patrimonio di Punti Difesa, che desideravo fosse elevatissimo a fronte di una quasi inesistente riserva di Punti Magia e Punti Malizia. In alternativa si poteva prevedere un ganglio nervoso, una sorta di cervelletto per lo smistamento e il coordinamento delle due spine, quattro arti, discontinue psichi e cazzi connessi/e, una soluzione che presentava il vantaggio di essere già stata escogitata per lo stegosauro (E. B. BUCHHOLZ (née GIFFIN), “Gross Spinal Anatomy and Limb Use in Living and Fossil Reptiles”, in Paleobiology, 16 (1990), pp. 448–58, nonché D. E. FASTOVSKY e D. B. WEISHAMPEL, “Stegosauria: Hot Plates”, in IDD., The Evolution and Extinction of the Dinosaurs (2nd ed.), Cambridge University Press, 2005, pp. 107–30) nonché di essere agevolmente giustificabile da un punto di vista evolutivo come una atrofizzazione dell’ano umano (per fattori legati alla dieta? alla necessità di non lasciare tracce troppo vistose per i predatori?) cui avrebbe fatto seguito una simmetrica èra intermedia in cui dalla zona atrofizzata  e statisticamente a maggior produzione di cellule cancerose – intere popolazioni di protocentauri sterminate da un micidiale mix di tumore spinale e tumore al colon – per finire con la definitiva formazione del ganglio che suscitava poi disturbanti ipotesi sull’oscura e (così si temeva) simmetricamente perpetrata origine del ganglio massimo meglio noto come cervello, che in una fase protoumanoide avrebbe dovuto avere l’aspetto di una sorta di ano craniale.

 

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“Grazie. Grazie dottore. Gr–”

“Devi fare ancora molta strada. Insieme distruggeremo il piccolo idolo d’oro. Per la prossima volta chiediti questo: perché mai in tutti questi mesi questa persona avrebbe dovuto passare sotto silenzio l’esistenza di un amante?”

“Grazie. Gr–”

“Chiediti questo: ti è mai capitato di pensare che magari è perché a questa persona tu non piaci per niente?”

“No, lei av–”

“Anzi, meglio: chiediti se ti è mai capitato di chiederti se di fatto tu non le sia mai piaciuto.”

Il cosiddetto “mistero di un’anima”… rovistare dentro quell’anima e non trovare altro che stracci che coprono altri stracci, e alla fine per non diventare stracci a propria volta mascherare da analisi quelle che in realtà sono manovre per tenere unito un corpo apparente. Come quei finti pacchi regalo che non contengono nulla se non pagine di vecchi giornali.

“No, no, io volevo piac–”

“Chieditelo.”

Chi potrebbe mai prendersi la briga di leggere quelle vecchie pagine?

 

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Il latte era marcito nella confezione e io mi ero messo a piangere per via dell’odore. Mio padre mi disse che era scaduto. Il latte è diventato cattivo, avevo detto. Perché era vivo: puoi far capire agli altri che sei vivo solo se diventi cattivo, altrimenti sei una bestia impagliata e tutti ti possono accarezzare, ma gli animali veri non si fanno toccare da nessuno. E così quando sei scaduto ti trasformi in qualcosa di cattivo e gli altri si mettono a piangere perché ora vedono che sei vivo proprio come loro.

 

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Come il canto vittorioso e triste di un gallo.

 

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Forse sto dando troppa importanza al mio paziente, ma mi sembra che la guarigione di Gianni Sherwood stia particolarmente a cuore al nuovo direttore: quando ascolta i miei rapporti appare sempre molto inquieto, e non fa che chiedere se Gianni Sherwood non abbia dato almeno un minimo segno di stanchezza durante il racconto, e con singolare allarme continua a passare gli occhi dalle pareti al soffitto, come se le storie di Gianni Sherwood fossero rampicanti tropicali tanto tenaci da aprire crepe nei muri, e la solidità dell’edificio dipendesse dalla fine di quelle storie. Spesso, il direttore si fa ripetere le frasi che ho scritto sul taccuino, e mi chiede se sono sicuro di aver scritto bene, e si dice deciso a trovare il modo di “far tacere, una buona volta, Gianni Sherwood”, così dice, e in effetti nessuno può negare che i racconti siano l’unico disturbo di Gianni Sherwood e che, quando si saranno ridotti a un discorso sensato, lui potrà finalmente lasciare l’istituto; però non capisco tutta questa caparbietà: un tipo come Gianni Sherwood, con tutti gli anni che ha passato qui, cosa potrebbe mai fare, una volta guarito?

 

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L’acqua putrida che ci ostiniamo a chiamare carne.

 

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Estratto dall’incompleto bozzetto giovanile di G. Sommariva Dimenticare Mozart in 110 semplici passi:

“Passo n.° 1: Scendete una domenica mattina nella vostra città. Lasciate cadere la vostra testa all’indietro, in modo da non vedere altro che canali di cielo azzurro bordati dai cornicioni. Camminate. Anche di giorno dietro l’azzurro ci sono le stelle. I corpi opachi delle costellazioni diurne inizieranno ad emergere come pescigatto da uno stagno. Tornate a guardare la vostra città: come doppi fondali cascati per errore, vi troverete davanti vicoli ciechi di cui non vi eravate mai accorti. Il primo passo è stato irrimediabilmente compiuto.”

 

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Dolcissima abissale lontananza degli occhi di Sarahs, una pressione di migliaia di atmosfere che ti riduce istantaneamente a un grumo di carne spappolata non più grande di una noce.

 

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Tutti nel tempo non fanno che deteriorarsi e marcire. Diventano tutti più cattivi, e con tutti intendo tutti, anche la mamma e il papà. E con “nel tempo” intendo dentro il tempo e attraverso di lui.

 

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La cronaca del primo attentato dei Nerini si deve a una curiosa figura di artista concettuale di strada noto con il nome d’arte di Jaidumal. E corre immediatamente l’obbligo di precisare che, come accade in molti casi simili, la cronaca non è conseguenza ma condizione d’esistenza del fatto di sangue; ovvero, per chi non ha orecchie da intendere: scopo ultimo di ogni attentato dei Nerini è quello di apparire non come il primo ma come l’ultimo di una serie la cui origine si perde nelle brume medievali stolidamente “fantasy” (ma la scemenza, quando si ha a che fare con i Nerini, non può che essere deliberata e calcolatissima) dei loro volantini, una serie occulta e secolare di attentati rivelata ora alle vittime dalla “cronaca” (e cronaca non è anch’esso un termine che evoca stereotipe figure del passato, oscuri scribi con penne d’oca e calamai? cioè, in momentaneamente ultima analisi: non è da scartare l’ipotesi che la cosiddetta cronaca di Jaidumal sia parte, come dire, di un più vasto disegno, cioè parte della tenebra o se si preferisce del complotto…)

 

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Tutti col tempo diventeranno cattivi. Anche la mamma e il papà.

 

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Estratto dai Sermoni laici di don G. Giorgio — file sotto sequestro presso la questura di Waltzwaltz (Ufficio Austroamazzonico per gli affari “religiosi”): “Vedo spesso in me una profonda somiglianza tra l’anima di Mozart e quella di Schubert. L’ascolto di ambedue procura infallibilmente un platonico e soave “ricordarsi dell’ovvio” che è il segreto del loro incanto; Schubert stesso rivelava agli intimi, che poi lo hanno spiattellato all’universo mondo, che il segreto della composizione consiste nell’entrare in uno stato per cui la musica creata dia al compositore stesso l’idea di essere stata in qualche modo ricordata. Mi ricordo di quello che sto scrivendo, anche se è completamente nuovo: una sensazione che ci può dare solo un’arte ferocemente imperfetta e inerentemente non umana come la musica. Ricordare: come se venissi istantaneamente e spietatamente imbottito, fino a tendere al limite di resistenza le pareti del mio cranio (…omissis, per i possibili addentellati con il processo intentato dai famigliari delle vittime del videogioco NITA™ contro Tomaš Brušek; NOTA: dagli Uffici della Polizia Mnemonica di Cracovia arriva la segnalazione, secondo i redattori del presente rapporto smaccata- (e polacca-) mente campanilistica, di un episodio riguardante la carriera privata di Chopin, il quale durante una propria improvvisazione avrebbe commosso fino alle lacrime un medico polacco lì presente, che nelle melodie che Chopin stava inventando lì per lì avrebbe creduto di riconoscere il tema di una ninnananna che la madre era solita cantargli da bambino; si riporta la segnalazione di Cracovia per dovere d’ufficio, derubricandola nel contempo tra le – letteralmente – prestidigitazioni mnemoniche di cui Chopin era consumato perpetratore).

La differenza è nel teatro: ogni composizione di Mozart è teatro ad un livello talmente puro da trascendere quello mai raggiunto da qualsiasi altro autore, da Eschilo a oggi; ogni melodia creata/ricordata da Mozart è un personaggio, ovvero: ogni melodia di Mozart ci rende vittime di un depistaggio verso un luogo che non è mai completamente Mozart. Mozart si nasconde. Schubert al contrario è refrattario al teatro, sempre che non si voglia vedere nel Winterreise un vasto e solitario monologo il cui scopo ultimo è l’annientamento del piccolo idolo d’oro, una… (…omissis…). Così si vedrà che viceversa qualsiasi parola musicata da Schubert si trasforma, nella colata vetroide della sua musica, in una propaggine di Schubert stesso.

Benché fratelli, i due demoni ci tentano dunque con due differenti consolazioni, ambedue irresistibili, ambedue atroci: Mozart ci ricorda che anche dietro la realtà più sublime si nasconde una cicatrice di cartapesta e di inganno; Schubert ci rassicura del fatto che l’incubo più tremendo, per quando impalpabile possa apparirci al risveglio, per il solo fatto di essere stato sognato è irrimediabilmente reale. La cicatrice che ci ha lasciato in dono non si può cancellare.”

 

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Cosa potrebbe mai fare, una volta guarito?

 

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Qual è dunque il sovrano ai piedi del quale ti lacrimerai?

 

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La tua anima spappolata vagolerà in eterno nell’abisso degli occhi di Sarahs.

 

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VALMARANA: No, va benissimo. Ecco qua, ditemi se è troppo calda, ma prima per sicurezza un bacino sul culetto a tutt’e due. (Bacia le pere.) Come, il solletico! Il bacino sul culetto è la cosa meno solleticosa che c’è, ve lo dico io. Io uso sempre la Pomata dei Bacini sul Culetto quando voglio farmi passare il prurito alle chiappe. Sì. E adesso a dormire. Buonanotte. (Buio. Sul fondale vengono proiettate schermate bianche e nere a velocità stroboscopica. L’uomo mascherato inizia a suonare il jingle pubblicitario dei Laboratori Brušek di Varsavia. Un altoparlante diffonde la voce registrata di Valmarana che decanta le qualità della pomata Plastilina Parlante. Valmarana mima con entusiasmo e efficienza il testo dello spot.)

 

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“Non c’è dunque che una via per lasciarsi i demoni alle spalle, ed è la più ardua di tutte: dimenticare Mozart.”

 

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VOCE REGISTRATA DI VALMARANA: Fai ciao ciao al mattatoio della vita quotidiana con la nuova, migliorata, Plastilina Parlante! Sì! Da oggi potrai Memorizzare e Descrivere, semplicemente manipolando la nostra pasta a base di alghe pensanti (nota informativa: la lavorazione avviene nelle soffitte dei nostri laboratori, dieci volte più asettiche dei laboratori stessi), sì, da oggi potrai Provare e Trasferire ad altri certe sensazioni tattili rare, grottesche, apparentemente ineffabili, come per esempio quella di tenere in mano due piccoli feti pulsanti di chiara origine vegetale, o la sensazione di lancio e schiocco secco dei falsi feti in questione mentre vengono scagliati con rabbia contro un muro, o ancora quella del proprio deretano che improvvisamente diventa la pelle di un vomitevole ragno bianco giapponese. Plastilina Parlante. È un effetto collaterale della Pomata Cicatrizzante Brušek, presto sul bancone del vostro droghiere.

 

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L’acqua del mare rigata di lenti vermi di luce, la mano di Sarahs come a volerli pescare.

 

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Moltiplicate dagli scatti, nove mani sinistre di Sarahs sollevavano immateriali vermi di luce.

 

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MILOS: Avrei forse addirittura potuto – ovvero avrei disperatamente voluto – creare una serie di innovative e mai viste prima Carte Trasparenti sovrapponibili che avrebbero permesso di penetrare le varie zone anatomiche del Giovane Centauro e infine, in una sequenza virtualmente infinita e infinitamente ramificata, regredire di era in era fino al protozoico antenato primordiale, un albero genealogico ad un certo punto del quale ci sarebbero stati l’umano e l’equino separati e intere spietate o perverse generazioni dedicatesi a selezionare secolo dopo secolo i rappresentanti delle due specie che si rivelassero più reciprocamente compatibili finché al termine della millenaria sequenza di unioni contronatura non ne fosse arrivata una, tra il più cavallino degli uomini e la più formosa e – un albero genealogico secolare e abnorme che si sarebbe forse in una delle sequenze future del Gioco, ove il Giovane Centauro avesse avuto successo ovvero meta-successo, un albero che si sarebbe rivelato essere uno di quei lunghissimi longevi semifossilizzati e impersonali vermi preistorici — insomma partendo dal solo Giovane Centauro, i dettagli da osservare per il meta-target con la giusta inclinazione erano, avendo l’occhio per queste cose, se non infiniti, molteplici e (tale era la mia sensazione nelle notti insonni in cui in una sorta di autoinferno oscillavo ininterrottamente tra gloria e fango immaginari e sempre più onirici e confusi al procedere della notte) brulicanti. Il Giovane Centauro avrebbe dovuto avere la capacità di percepire anche durante il giorno le costellazioni, un dono prezioso nell’universo western che si stava dispiegando, invisibile a tutti e perciò tanto più tossico, nelle mie budella.

 

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Nove mani sinistre.

 

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“Tempo scaduto diventa cattivo, hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi hi! Cattivo!”

 

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Distruggere il piccolo idolo d’oro.

 

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Abisso di luce nella carne.

 

[continua l’11 luglio]

 

  • L’universo parallelo western brevemente delineato in questa puntata prende ispirazione dall’opera fumettistica di Lise & Talami.

 

PA9 - Fine