The Hateful Eight Review – Contro Tarantino

Recensione di The Hateful eight in esclusiva mondiale per “ZIBALDONI E ALTRE MERAVIGLIE”! I nostri contatti transatlantici ci hanno permesso di assistere in anteprima assoluta all’uscita statunitense della versione in 70mm dell'ottava fatica di Quentin Tarantino, qui atrabiliosamente recensita. Negli Stati Uniti è prevista la distribuzione nei cinema della versione digitale del film a partire dall'8 gennaio 2016. In Italia The Hateful Eight uscirà il 4 febbraio, distribuito da 01 Distribution.

N-word, A.L.-word

 

I critici americani si sono soffermati sull’uso massiccio della cosiddetta N-word (cioè nigger) nel film. Alla N-word noi affiancheremmo la A.L.-word, cioè Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti. La questione che proponiamo, in altri termini, è quella del conteggio delle N-word e delle A.L.-word contenute in The Hateful Eight, e del confronto tra i totali ottenuti. Dubitiamo ci possa essere altro di interessante nella sceneggiatura dell’ottavo film di Tarantino, che è senza ombra di dubbio il peggiore che abbia mai scritto. Per rispetto ai fan di Tarantino (come lo siamo anche noi, e dei più molesti: siamo quel tipo di fan che balla sforbiciando le dita davanti agli occhi per sentirsi come Travolta/Thurman in Pulp Fiction, che quando vede la scritta cubitale HUGO STIGLITZ la accompagna con un suono gutturale tipo schitarrata elettrica schitarrando con gesto metal una chitarra invisibile, che si pone e pone a chiunque abbia la pazienza o il dovere professionale di ascoltarlo mille questioni sul cerotto di Marsellus Wallace o sulle mani di Beatrix Kiddo, che non ne ha mai abbastanza di dialoghi bizzarri e messi un po’ alla C-word, di omaggi ai B-movie e di crudeli baroccaggini e gratuite) non spoilereremo il film, ma da qui in poi va da sé che un qualcosina verrà spifferato, per cui quei fan di Tarantino che vogliono vedere i nuovi film di Tarantino senza saperne niente ma proprio niente di niente nella vana ma comprensibile speranza di ritrovare l’incanto della prima visione di Pulp Fiction, quei fan lì sono invitati a darsi manate leggere e continue sulle orecchie cantando La Marianna la va in campagna, in modo da non sentire quanto segue.

 

Discorsetti

 

Una delle cose che fanno di Tarantino Tarantino è ciò che possiamo chiamare il Discorsetto. In ogni film di Tarantino ce n’è almeno uno, ed è il momento in cui uno dei personaggi spiega a un altro che una certa filosofia/esternazione/versione dei fatti che dir si voglia non sta in piedi. L’ur-Discorsetto è, come ogni fan sa, quello fatto da Chris Penn per sbugiardare Tim Roth morente in Reservoir Dogs. Quell’ur-Discorsetto è un piccolo gioiello di psicologia, come anche il più recente “Discorsetto di Superman” fatto da David Carradine buon’anima a Uma Thurman per spiegarle come per lei sarebbe impossibile una vita da statunitense qualunque. Vertice a nostro giudizio insuperato di tutti i Discorsetti, il Discorsetto/Sermoncello del gangster Samuel L. Jackson al rapinatore Tim Roth che conclude Pulp Fiction. Peculiarità del Discorsetto è che lo sbugiardando destinatario e lo spettatore devono chiedersi il più a lungo possibile: “Ma dove C-word vuole andare a parare?” (nei Discorsetti più recenti talvolta Tarantino opera una contorta scissione tra destinatario e spettatore, come nel frenologico “Discorsetto del N-word giusto” in Django Unchained, nel quale lo spettatore sa già dove si andrà a parare, ma capisce solo dopo, insieme agli sbugiardandi, come ci si arriva). Ingrediente gradito ma non necessario, la stranezza/frivolezza del soggetto di partenza (la frenologia, i fumetti).

Nei Discorsetti che infestano The Hateful Eight non c’è niente di tutto questo, ma solo una brama petulante e pignola di fare tana al proprio interlocutore attraverso un ragionamento sempre terribil- e inesorabil- mente banale e prevedibile, intuito per intero fin dalla prima frase e tuttavia inflitto allo spettatore in ogni sua minima piega e dettaglio. È come se in una puntata di Chi vuol essere milionario? un concorrente si sentisse in dovere di sgranare interminabili elucubrazioni euclidee sulla domanda “Quanti lati ha un triangolo?”. Per chi vedrà il film, raccomandiamo in questo senso il “Discorsetto dello Stufato”: provare per credere.

Il che ci porta ai Teletubbies.

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Ciao ciao Tinky-Winky

 

Bradshaw del Guardian ha paragonato The Hateful Eight a una storia di Agatha Christie. Se Bradshaw voleva intendere che i personaggi del film sono afflitti dalla stessa inconsistenza dei vari colonnelli in pensione e maestrine frustrate della Christie, è così. Se voleva intendere che The Hateful Eight ha un intreccio magistrale e uno scioglimento finale quanto mai imprevisto, non è così. Da parte nostra proporremo qui un altro paragone, sostenendo che The Hateful Eight è piuttosto paragonabile a una puntata dei Teletubbies per adulti assetati di violenza e particolarmente tardi di comprendonio. Si vedrà cioè che, come ogni piccola scoperta fatta dai Teletubbies (esistono oggetti rossi e oggetti non rossi, la palla è rotonda, l’acido muriatico non è un collirio…) viene spiegata e rispiegata e rispiegata dai pupazzini colorati sotto il sorriso indistruttibile del bimbo-sole tra risate, canzoncine esplicative e abbraccetti di gruppo, così in The Hateful Eight un manipolo di personaggi poco meno che bidimensionali rumina e rirumina una serie di fatti genericamente “western” afferrandosi a qualunque lacerto di colpo di scena o di spargimento di sangue che possa salvarli dalla melma narrativa in cui sono stati gettati. Chissà, l’avesse fatto girare a Bela Tarr magari veniva fuori un gran film.

Esempi? C’è un personaggio che porta prigioniera una donna sulla cui testa ci sono 10000$ di taglia, con altri dettagli che non anticipiamo ma che sono altrettanto elementari. Queste poche notizie vengono ripetute ancora e ancora e ancora e ANCORA dal tipo in questione ad ogni singolo personaggio del film, senza mai alcuna interessante/faceta/imprevista variazione, ripetute poi di bel nuovo a tutti collettivamente con il tipo piantato in mezzo alla stanza che dice “Un po’ di silenzio: state tutti bene attenti”, e infine, per chi non avesse capito, ripetute in maniera frammentata anche da altri personaggi che condividono o disapprovano la linea di condotta del tipo.

Stessa cosa per quanto riguarda una certa lettera di Abraham Lincoln, lettera che alla fine del film si arriva a odiare come un brufolo tra le chiappe, anche perché ogni volta che viene nominata c’è sempre il seguente insulso siparietto:

“Lincoln?”

“Sì”

Quel Lincoln?”

“Sì”

“Abraham Lincoln?”

“Sì”

“Il presidente degli Stati Uniti?”

“Sì”

“Il presidente degli Stati Uniti Abra-ham Lincoln?”

“Sì”

“Non ci credo”

(Non sappiamo come verrà nel doppiaggio, ma il siparietto finisce davvero sempre con un personaggio che pian piano sillaba “Abra… ham”)

Stessa cosa per quanto riguarda una porta che va inchiodata con due e NON un pezzo di legno (facciamo grazia del connesso, immaginabilissimo, esasperantissimo siparietto). L’enunciazione di questi tre dati (prigioniera, Abra-ham Lincoln, porta), tra ripetizioni e varie ingiunzioni di conferma o smentita previo Discorsetto, occupa i due terzi buoni del film.

Il siparietto di Abra-ham Lincoln denuncia anche come il teletubbismo di The Hateful Eight si manifesti con particolare virulenza nei dialoghi, una delle roccaforti della scrittura tarantiniana, il che è tanto più deprimente quando si pensi a certi scambi di Pulp Fiction o all’intero Jackie Brown, in cui Tarantino era riuscito nella difficilissima sfida di rendere interessanti la mediocrità e la stupidità senza tradirle. E cioè amandole: perché alla fine della fiera il problema di The Hateful Eight è quello.

Liberi di non crederci, ma in The Hateful Eight ci sono anche la canzoncina esplicativa e l’abbraccetto collettivo (tra tre tristanzuoli prima di dare il via a una malefatta, ma sempre abbraccetto è).

Non resta che sperare che in Europa il film circoli solo nella versione digitale, di una ventina di minuti più corta.

Mah.

 

Per concludere

 

Infine: va bene che è Tarantino e che c’è il superrealismo surrealista delle teste che esplodono e delle braccia mozzate, ma in Kill Bill (tanto per prendere il più supersurrealviolento) non ricordiamo di aver visto persone (qui si ha lo spoiler massimo — e questo anche per dire vedi che fior di colpi di scena) a cui sparano dritto nei C-word e loro dopo due tre urletti ci mettono su una mano e via, per il resto del film se ne stanno seduti a letto a discutere di massimi sistemi, gestire stalli alla messicana e talvolta sganasciarsi in lunghe risate, ricordandosi (se capita) di fare giusto una smorfietta ogni tanto, come dire “a parte che mi hanno appena disintegrato i pendagli, sto davvero passando una bella serata”.

Detto questo, va dato atto che i famosi 70mm sono stati sfruttati nel modo migliore possibile, con due tre riprese in esterni baciate dallo stesso demone che accompagnava Herzog in Aguirre o Fitzcarraldo e che ha inspiegabilmente deciso di riemergere per The Hateful Eight: film che pertanto risulta essere il meglio girato tra tutti quelli di Tarantino; e tuttavia il bacio di un demone non basta a liberarci dal sospetto che a conti fatti The Hateful Eight sia

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