Got Rhythm?

«Atene e Lacedemona, che fenno

l’antiche leggi e furon sì civili,

fecero al viver bene un picciol cenno

verso di te, che fai tanto sottili

provedimenti, ch’a mezzo novembre

non giugne quel che tu d’ottobre fili.»

(Purgatorio VI, 139-144)

Calza buffamente a pennello con la situazione attuale il celebre passo dal sesto del Purgatorio, dove viene derisa la frettolosità con cui le leggi della Firenze trecentesca fiorivano e appassivano. Così col recente affastellarsi di decreti, bozze di e correzioni a decreti, conferenze, chiarimenti, note e precisazioni sembra finalmente inaugurato il nuovo mondo della legge twitterizzata, smart & up-to-date (schiocco di dita); e con gesticolazione scomposta e vanamente indaffarata tra revisioni e correzioni continue, la legge evapora in uno sciame nevrotico e contradditorio di regole, indicazioni e forte raccomandare.

(Solo incrollabile caposaldo di ogni decreto: il jogging. Siamo sempre più convinti che, come una sorta di nuovo arcano maggiore, il Corridore sia un’inconscia allegorizzazione dell’epoca presente: lo festeggiamo dunque come uno dei rari momenti di – occulta, nonché inutile – chiaroveggenza di questo governo.)

Urge il morbo, si dirà. Ma il movimento di un’epidemia non è a sbalzi, né è imprevedibile. Non solo: sappiamo già per recentissima esperienza come si muove questa precisa epidemia, conosciamo già e il suo passo e i suoi tempi. Ma questo governo, anzi forse addirittura questo mondo sembra del tutto privo di un genuino senso ritmico. E tanto per continuare a rivolgerci all’antico, tornano in mente i passi delle Leggi e della Repubblica di Platone in cui vengono pazientemente catalogati ritmi e modi musicali benefici per il governo dello Stato: una segreta vena sciamanica che nella musica vede non più uno strumento magico di guarigione, bensì il veicolo per una armonizzazione della politica al moto delle cose. Perché per Platone politica e musica sono così intimamente legate? Perché per Platone la politica è ancora la vita dello Stato, e non solo la sua mera gestione. I governi contemporanei al contrario ci sembrano tutti tragicamente non musicali, privi di orecchio.

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Uno dei paradossi più semplici e insieme misteriosi del ritmo musicale: il gesto più lento è quello che copre le distanze maggiori. Chiunque abbia sperimentato la velocità con cui l’anima spazia durante l’ascolto di un adagio di Mozart capisce perfettamente quello che stiamo dicendo, così come ogni musicista sa che l’esecuzione di un presto è tanto più eccelsa quanto più lento, per non dire immobile, è l’animo dell’esecutore di fronte al pulviscolo delle biscrome. È nella lentezza che germina la più vertiginosa e efficace rapidità. Il governo attuale pare invece aver perduto ogni più pallida idea di quale sia la potenza della lentezza; cosicché a malapena è in grado di fronteggiare fatti che hanno il ritmo di un’edizione straordinaria. Né sa percepire altro.

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Ritmo effettivo di questo virus: secolare. Tale il tempo impiegato per svilupparsi, diffondersi e infine compiere il balzo dall’animale all’uomo. Posto che la società umana è troppo malferma per avere un ritmo tale, sarebbe stato comunque auspicabile adeguarvisi il più possibile, diciamo con un ritmo decennale. Ed è infatti da decenni che i virologi avevano allertato l’Europa sui rischi di pandemie simili a questa, se non precisamente questa. Da tempo i virologi avevano sottolineato l’urgenza per l’Europa di migliorare i propri apparati sanitari, giudicati inadeguati, e avevano raccomandato di affrontare future epidemie in nome della collaborazione e non della competizione tra Stati… Dopo aver lasciato che nel corso di questi anni cruciali la nostra sanità fosse ridotta al lumicino, oggi deridiamo quegli stessi virologi per il loro attuale disaccordo: disaccordo che nasce perché li si interpella su fatti che sono al di fuori del ritmo di osservazione della loro disciplina – tanto varrebbe deridere degli ornitologi perché sono in disaccordo sull’ora della partenza per l’Africa di uno stormo di rondini. Tanto varrebbe ballare un foxtrot mentre l’orchestra suona il Danubio blu.

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Metafora trita ma correttissima per un’epidemia è quella dell’ondata. Metafora che questo governo, ipnotizzato dai giornali (probabilmente perché i giornalisti sono ormai le uniche persone con cui un politico oggigiorno scambia due chiacchiere), non sembra aver davvero compreso: con uno sguardo immemore e ridicolmente digitalizzato in un insieme di frammenti slogati, non vede e non mostra altro che collane di bollettini, che giorno per giorno raffigurano a drammatici “balzi” l’aumento dei contagi e delle vittime. A fronte di un’inondazione che sta montando, troveremmo sensato un governo che ogni giorno non facesse che misurare il livello dell’acqua parlando di innalzamenti improvvisi, e prendesse misure adeguate per il livello di quel giorno, continuando perciò a correggerle e rivederle volta dopo volta, e per di più aspettandosi risultati immediati (come ora il “Natale sereno” che ci viene sventolato sotto il naso con insultante paternalismo)? E così con un piglio cronachistico che si crede rapido e invece è in continuo ritardo rispetto al ritmo del fenomeno, l’ondata epidemica ci viene presentata come un fenomeno terrazzato o se si preferisce mal pixelizzato, un insieme di scatti numerici che ne fossilizzano il moto, offuscandone la decifrazione.

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La nostra incapacità di avere uno sguardo e un ritmo che oltrepassi la giornata ci ha messo nella situazione in cui siamo. Avevamo le conoscenze e i mezzi per farci trovare preparati di fronte a un virus che (come da tempo ci avvisa – naturalmente anche ora inascoltato – Quammen con altri) è solo un assaggino rispetto a quelli futuri che certo verranno. Perché non l’abbiamo fatto? Lo faremo per il futuro?

Ma la questione non riguarda solo le circostanze attuali. Da almeno un secolo la specie umana è entrata nel novero dei fenomeni naturali i cui effetti hanno un ritmo vasto e una portata che travalica la vita di un individuo: pesano e respirano i nostri movimenti ormai come quelli dei ghiacciai o delle foreste, e altrettanto lente e decisive sono le loro conseguenze. Perciò la capacità di percepire l’adagio che palpita sotto la frenesia degli attimi sarà sempre più una parte necessaria di quel nuovo umanesimo nel quale vediamo la prima speranza per l’essere umano del futuro. Una capacità che non ci è estranea, ma di cui ci stiamo privando proprio quando sta diventando più necessaria.

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Festina lente, “affrettati lentamente”: questo il motto di Ottaviano Augusto, uno dei più abissali uomini politici mai vissuti (e anche tremendi: non abbiamo il cuore tenero), le cui azioni hanno avuto esiti di larghezza incomparabile. Festina lente: l’azione più rapida e efficace è quella che è stata prevista e ponderata per lungo tempo; è quella che non si limita a reagire ai fatti, ma che nei fatti riconosce in anticipo le cause di ciò che ha da venire; più lontano lo sguardo, più efficace l’azione. Così alla golpe e al lione machiavellici vorremmo trovare affiancati, nel serraglio della mente politica contemporanea, la lumaca e il falco: e politico perfetto sarà chi saprà usare di entrambi.

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