Il doppio cuore di Perfect Days

Il sovrano in incognito: da subito si capta come una forza trattenuta, quasi da generale a riposo, nella cura con cui il protagonista ogni giorno si spunta i baffetti, o in certi sguardi severi che di quando in quando incrinano l’apparente dolcezza del personaggio...

Non sono rare le testimonianze storiche e le fiabe che parlano di re che esplorano il loro regno travestiti da persone comuni. E uno dei nodi della politica presente è da un lato l’impossibilità di una tale salutare pratica di conoscenza per i nostri sovrani, dall’altro l’esistenza conclamata ma mai pienamente dimostrabile di sovrani occulti: e con ciò di un’intera occulta politica, che per ciò stesso politica non è. Non è più la nebbia di Guicciardini, che nasconde il palazzo del potere. È lo svuotamento, in quel palazzo, di ogni reale potere –– Ma non dovevo parlare di Wim Wenders?

Il sovrano in incognito è l’archetipo dietro il protagonista di Perfect Days, piccolo gioiello che ha lo splendore e la fragilità delle canzoni che il protagonista ascolta andando al lavoro.

Il sovrano in incognito: da subito si capta come una forza trattenuta, quasi da generale a riposo, nella cura con cui il protagonista ogni giorno si spunta i baffetti, o in certi sguardi severi che di quando in quando incrinano l’apparente dolcezza del personaggio (da questo punto di vista si potrebbero trovare non pochi punti di contatto tra Perfect Days e Napoleon di Scott, che in fondo compie la stessa operazione ma, per così dire, contrario motu) –– e in altro che qui proverò a indicare, minuscoli indizi cui è affidata l’ambiguità di fondo di una pellicola solo in apparenza semplice della semplicità dei santi.

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Il sovrano in incognito: il protagonista del film vive in uno stato di contemplazione che gli permette di gioire anche facendo un lavoro faticoso e spiacevole come pulire i bagni pubblici di Tokyo. La storia è tutta qui. Non è un film che si possa rovinare rivelandone il contenuto.

Il segreto della gioia è semplice: tenere gli occhi e le orecchie aperte alle infinite sfumature del mondo, svolgere il proprio lavoro, qualunque esso sia, con amore. Dietro gli occhi di quell’inserviente che le persone salutano appena (si accorgono di lui solo un bambino, un monaco, una passante, un matto… quasi figure di tarocchi paralleli) si squaderna costantemente un impero di minute epifanie.

Non siamo tutti così? Dentro ciascuno di noi non si agita una vita segreta e abissale solo a lui nota? Sì, è così, e questo è il cuore del film (ossia, uno dei due cuori: il piccolo gioiello è anche un piccolo mostro…). Una cosa semplice e potente.

È davvero importante che questa vita segreta per alcuni sia una vita d’orrore, per altri di estasi? L’abisso si può spalancare sempre nelle due direzioni.

Parente stretto degli angeli (numi tutelari dell’intera opera di Wenders), e come loro vagamente inumano, il protagonista di Perfect Days quando può sceglie sempre la direzione piacevole: e tutti noi lo possiamo fare, ci sussurra il film, guardate, è facile come suonare una canzonetta, tutti noi possiamo vivere come imperatori nascosti, e continuare a esistere felici, felici –– e schiavi.

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La tanto osannata pace orientale è anche uno strumento potentissimo di repressione della rivolta. Ci si dimentica sempre che nel Tao c’è anche il massimo del tremendo. Si legga il sublime Zhuang-zi: quasi non c’è pagina in cui il cielo del Tao non attraversi anche una dimensione politica. I sapienti massimi sono sempre nascosti dietro figure di contadini, traghettatori, pescatori… persone ai margini che dopo aver lasciato trapelare la luce della loro sapienza si vedono offerta la corona dell’impero. Imperatori nascosti. Spesso rinunciano alla corona, preferendole i loro semplici lavori. Quando la accettano, la loro perfezione nell’arte del governo si manifesta nella non-azione. Finito il loro compito, tornano nelle loro capanne. Accanto alle incomparabili rivelazioni che pullulano nel libro, il lettore riceve anche un ordine morbido e implacabile: la felicità è a portata di mano, perciò rimani nella tua capanna, mio piccolo imperatore nascosto. Non agire.

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Due soltanto, ma decisivi, sono i momenti di angoscia per il protagonista: l’incontro con la propria sorella, e una giornata in cui per la defezione di un collega deve lavorare fino a notte fonda, senza potersi dedicare a tutti i meticolosi piaceri con cui ha organizzato il proprio dopolavoro.

L’imperatore nascosto: la sorella è ricchissima, e in quel momento capiamo che lui fa l’inserviente ai gabinetti pubblici per una propria scelta, un qualcosa che ha a che fare con una lite con suo padre, cui a quanto pare resta poco da vivere, ma che in nessun modo lui vuole rivedere. Dopo quell’incontro, il protagonista passa la serata mordendo il cuscino in lacrime, senza riuscire a immergersi nelle proprie rituali letture. Balena un dubbio: e se tutta questa beatitudine non fosse che un muro di ovatta che lui ha eretto per evitare di affrontare gli aspetti più problematici di se stesso? Un clandestino e oppiaceo harakiri? Se non venisse da una famiglia ricchissima ma fosse veramente in lotta contro la miseria, pulirebbe merda con la stessa serenità? Le sue ali da angelo sono finte: ed è precisamente in questa povera cartapesta di canzonetta che è racchiuso il fascino dolce e allarmante di Perfect Days.

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(Ne abbiamo visti altri di consimili imperatori nascosti, infinitamente più rozzi di questo di Wenders: ad esempio la pur bravissima Frances McDorman nel recente Nomadland, sorta di cafonissima campagna di assunzioni al reparto imballaggi di Amazon; anche lì, una donna di famiglia ricca che vive come una vagabonda on the road tra i meravigliosi spazi US, evitando come la peste le rotture di scatole di una vita incasellata –– salvo poi andare a battere cassa dalla famiglia, e anche con una certa stizza, quando le si rompe il furgone e sul serio le si spalanca davanti una vita di miseria e infelicità. Niente di tutto ciò in Perfect Days, il cui veleno è molto più sottile e fantasmatico: il veleno della vita angelica.)

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Il secondo momento di angoscia è più triviale, ma non meno tremendo: dopo che la solita giornata perfetta che nel tempo si è confezionato gli va a rotoli per il motivo che s’è detto, il protagonista si butta a letto sporco, esausto e sconfortato. “Ora tutti i suoi riti vanno a gambe all’aria, il collega che se n’è andato non verrà sostituto e per il resto del film lo vedremo consumarsi lentamente in questo nuovo orario infernale,” mi bisbiglia una vocina dalla poltrona accanto alla mia. Non ci avevo pensato, ero troppo commosso dalla bellezza del film.

L’angoscia di vite realmente così, cui la felicità è negata per una mera questione di lancette.

Fragile angelo di cartapesta.

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L’angoscia (con finta da maestro judoka, un’angoscia da bancone ci viene spiattellata da una lieta libraia da cui il protagonista sta acquistando un libro di Highsmith…), l’angoscia è perciò il secondo cuore, parallelo e occulto, del film.

L’angoscia senza nome di chi ha venduto la propria anima a un angelo.

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Culmine del film, e della recitazione sopraffina di Koji Yakusho, la fine della lettura di The Wild Palms.

Cosa succede quando un lettore finisce di leggere un romanzo? Nulla. Non agire. –– Nulla?

Un grande attore si riconosce dalla capacità di recitare anche quando è di spalle. Qui, prima ancora che chiuda il libro e lo riponga nello scaffale invece di tenerlo accanto al letto, capiamo che lo ha finito. Sdraiato, esala un sospiro solo leggermente più profondo del solito; le spalle cedono, giusto un millimetro di più: come se le avesse toccate, ma inaspettatamente riscaldandole, una morte.

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