La GIPSI/ 3

di in: Captaplano

Avevamo già detto della tradizione letteraria che mette in luce la nevrosi della prole in famiglia. A fronte di un atteggiamento Genitoriale (“io sono ok, tu non sei ok”) piuttosto indebolito dei propri genitori, ma pur intrinseco al ristagnare della GIPSI, questa mostra una postura di Bambino (“io non sono ok, tu sei ok”) alquanto aggressiva.

A volte si fermavano più del dovuto nelle case dei morti, anche dopo averli liberati degli stracci e averli sistemati magari in poltrona, o sdraiati in corridoio, bianchi come cittadini di Eden fiamminghi mezzo disciolti dall’uragano di calore dell’ininterrotta estate austroamazzonica di Schwarzschwarz.

Avevo cominciato a trascrivere le interviste su un computer che la biblioteca metteva a disposizione del pubblico, previa prenotazione. Le stampavo e le correggevo a penna. Stavo facendo il giro dei negozi di Trento per capire dove comprarmi il portatile. La macchina da scrivere meccanica ormai la usavano in pochi: avevo pulito la mia Adler e l’avevo messa nella sua custodia, pronta per raggiungere l’angolo degli scatoloni in soffitta, ma la tenevo in camera come un talismano a cui non mi sentivo di rinunciare.

Dimentichi della posologia,/ poiché distratti dalla prosodia,/ i poeti di lenta digestione/ offrono ai posteri ogni loro libagione./ E se avesse ragione Enzensberger,/ e fosse solo questione d’Alka Seltzer?

Prima di andarsene, mi ha anche detto che all’inizio gli era sembrato che fosse tutto a posto, e che si era fermato a parlare con me solo perché i guanti bianchi gli erano scivolati fuori dalla tasca; e anche perché, lì per lì, gli ero sembrata bella.

È interessante e significativo che Agamben scriva del viso come “luogo”, vale a dire come spazio in cui lo sguardo si sofferma e la mente imprende a meditare; “bel viso” significa, evidentemente, viso sul quale non si danno a vedere “ parole non dette e […] intenzioni rimaste incompiute”, ma dove, come accade in certi luoghi, è il silenzio a manifestarsi il quale, cesura nel brusio costante del vivere, invita a fermarsi, a indugiare, a meditare, appunto.

L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo. Davanti al ricordo sorridono anche loro, rassegnàti.

“Lui, lui è Marjo Salvati!”, stava gridando il portiere indicando Luijgi, “Se ve lo dico io, che lo vedo tutte le mattine!… Lui, è lui il signor Salvati”; sulle prime, Kecilja avrebbe voluto alzarsi per dar manforte al portiere e confermare che quello era suo marito, ma si trattenne, perché fu attraversata dal ricordo, molto vago, che Marjo dovesse aver fatto qualcosa di male insieme a Giacomo, e non voleva tradirlo, almeno fino a che non si venisse chiaramente a sapere di che cosa suo marito fosse accusato.

Lavorare molte ore in silenzio senza essere interrotto, come facevo quando mio padre mi portava in un cantiere, lascia ampi spazi all’immaginazione, tanto da suscitare la convinzione che un lavoro manuale possa essere il più adatto per chi vuole dedicarsi all’arte: è un errore frequente, che nasce da un’illusione.

La GIPSI/ 2

di in: Captaplano

La GIPSI non trova apprezzamento nelle soggettività che la circondano e da parte sua non apprezza quelle soggettività: ciò fa sì che il discorso torni sempre sulla propria diversità, mitizzandola.

Per questo l’immagine dei monaci chini sul loro disegno continua a creare nella mia mente un’impressione gioiosa; anche quando lo hanno finito, anche quando il disegno è ormai cancellato. Perché stanno rappresentando la futilità del tutto, l’eterna trasformazione, sì, ma nella bellezza.

L’indio fischiava e sospirava come un uccello trafitto, agitava le sue fronde di piume distogliendomi dal naufragio, e il riso mi aveva così scavato fin nel più intimo delle viscere che mi era impossibile fischiare e salvare il mio fratello ferito al cuore. Mi sono tirato su, esilarato dalla morte dell’indio, ho incrociato le gambe e senza che dicessi nulla l’indio mi ha consegnato il suo tamburo.

Massimo Rizzante presenta per i lettori di Zibaldoni e altre meraviglie il libro di Alejo Carpentier L’età dell’impazienza (curatela dello stesso Rizzante, postfazione di Miguel Gallego Roca). Ringraziamo l’editore Mimesis, che ci concede qui la pubblicazione anche di un breve testo di Carpentier.

Zibook - gli ebook di Zibaldoni