“Conosci la geologia della Transilvania?” Chiede Miloš a S. in una specie di estasi demente, lei ancora quasi una bambina, tutti e due anzi a dir la verità ancora giovanissimi, il broncio di S. come un’ala di farfalla ancora accartocciata dalla metamorfosi; e dietro di loro, perfettamente inquadrata tra i due volti, la smorfia di un marinaio vampirizzato e il grido vittorioso e triste dei galli di Jakarta che cercano di inghiottire il sole grigio.
Lettere
Mentre andavo così con un piede via via più veloce e svagato per una di quelle strade di bellezza difficile ho sentito qualcuno lamentarsi. Un po’ per intuito un po’ seguendo l’immaginazione, sono andato verso i cassonetti dell’immondizia. Ho pensato a un neonato di quelli lasciati a gelare o marcire nell’umido o nel secco. Era un’idea stupida, il lamento (femminile) era disperato, sì, ma di adulto.
Non compaiono mai persone nelle fotografie di Simone Nieweg: ma sempre ben percepibile è in esse la presenza dell’opera umana. Nieweg fotografa campi coltivati, giardini e orti di comunità, ortaggi, alberete preferendo molto spesso luoghi della sua regione natale, la Vestfalia, terra di grandi pianure costellate di città a forte vocazione industriale; ecco, allora, che [continua]
Pavese/ 6
Ah! I benedetti portoni di Schwarzschwarz, dietro i quali si diragnano esili ringhiere, scale e scalette di ferro, un dedalo di salite e discese, una grottesca di ferro e marmo vomitata in gola alla casa e, dietro l’intrico di ferraglia e gradini che salgono e scendono e sbandano e quasi sbatacchiano qua e la come falene intrappolate, il verde di una corte interna, come un sole preso tra le spine di un roveto invernale.