Un mio vecchio professore, per intimidirci, ripeteva: “Tra me e voi c’è un abisso”, e nessuno osava contraddirlo. Poi ho ritrovato questa cosa in Maurice Blanchot: l’abisso incolmabile del rapporto docente-studente, l’abisso della conoscenza, del desiderio, della ricerca, che unisce docente a studente e viceversa. Non aveva poi tutti i torti il mio vecchio professore, sebbene fosse un po’ gonfio!

Il presente accumulo di personaggi situazioni e battute che qui si sciorina a mo’ di “nelle-puntate-precedenti” non tragga in inganno il lettore. Molte cose nella penna, zero cose sullo schermo: è uno dei motti Bapak Rolex…

Inizia così un’appassionata e appassionante ricerca, accompagnata dalla pressoché immediata scoperta che in tutto il mondo e nei decenni successivi al 1915 (l’anno della prima pubblicazione di Die Verwandlung / La metamorfosi) molti traduttori hanno reso nelle diverse lingue d’arrivo “tram elettrico” e altrettanti traduttori “lampioni elettrici”, per cui Sofri cerca di capire come si sia potuto verificare tutto questo – mi astengo dallo svelare le conclusioni cui egli giunge.

Quest’anno non si può dire che questo riprincipiare abbia la stessa felicità del passato, le preoccupazioni sono tante; ma, come scriveva Leopardi, la ragione è piccola, la natura è grande: per quanto la prima possa veder nero, la seconda ti sorprende sempre alle spalle. Come la realtà al di fuori dei calcoli, dei progetti, delle programmazioni. Come l’entrare in classe.

Esce tra pochi giorni il nuovo libro di Massimo Rizzante, Una solitudine senza solitudine, nel quale l’autore ha raccolto la sua opera poetica degli ultimi trent’anni. Il custode della poesia di Massimo Rizzante è un uomo prosaico che desidera estinguere quel ridicolo monarca chiamato «Io». Per l’autore, in altre parole, la poesia è sempre «poesia di circostanza», fedele alla propria situazione storica e allo stesso tempo in dialogo con tutte quelle del passato. E, a causa di questa fedeltà, non deve temere di bruciarsi venendo a contatto con la varietà delle forme e dei contenuti. La sua sfida, infatti, non è quella di fondersi con il mondo, ma di comprenderlo.

Niente acqua dal cielo, niente strepiti o cambiamenti sulla terra. La gente ferma sotto il giogo delle tradizioni immutabili e della dittatura spietata ma invisibile. Paciosi, ingabbiati, mi sembravano i Siriani. E lenti anche nel dolersi delle questioni loro. Pericolosa? No, mai. Rispondevo a chi si stupiva della mia fiducia e del mio affetto. La Siria che conoscevo era così, e non mi lasciavo disturbare dai segnali di pericolo. Come il nome stesso del luogo in cui vivevo: Dimasq.

Ma io non sono sciuro che le cose stiano come ce le dipingono. Non sono sicuro che i professori siano quelli che vediamo alla tv, sui social, sui giornali. Secondo me, ci sono “altri professori”. Che non sono però una nicchia, una élite, un gruppo di eletti. Sono i professori che leggono, scrivono, parlano spesso di tutt’altro che di attualità oppure, se parlano di attualità, lo fanno in maniera “inattuale”, sganciandosi dagli stereotipi e dalle macchiette, e dunque non rientrando a nessun titolo in un nessun format.

Ci meravigliamo di come i personaggi delle fiabe si lascino sempre scappare la seconda occasione, solo perché nelle fiabe i fatti minuscoli che senza pietà ci uncinano fuori dal nostro destino vengono mutilati dalla narrazione; la narrazione è il veleno che avvelena la storia ma di cui la storia non può fare a meno.

Fetish/ 1

di in: Fetish

“Credevo nell’incontro delle pelli. Nella privacy come principale responsabile della solitudine nei centri urbani e tra le prime cause di suicidio nei giorni festivi. Ecco perché dicevo sì allo shopping socializzante. Sì ai ritrovi e alle manifestazioni relazionali. Mi piaceva il corpo a corpo delle vendite sottocosto e, a parte questo, volevo essere cercata. Così, quando ne avevo l’occasione, autorizzavo i discount all’uso indiscriminato dei miei dati personali e diffondevo in rete i numeri di telefono dei miei contatti”. La prima puntata di un romanzo inedito di Omar Viel.

Il distanziamento fisico, le limitazioni a cui ci sottoponiamo – per non morire, per non far morire gli altri, è così che va nelle epidemie – non devono limitare i legami. Ho una terza, leggeremo presto il Decameron: dieci ragazzi stanno lontani da tutti e inventano cento esperienze, cento storie diverse, una più bella e ricca dell’altra.

Dopo aver ammorbato, con il suo feuilleton pseudoazionista, le coscienze non troppo sveglie delle moltitudini di immarcescibili garofani stinti dal mito dell’Italietta liberal-socialista, il nostro barbuto narciso, una volta abdicato, ha cominciato a praticare l’arte del ventriloquio con i suoi pari.

Caldo, caldissimo, eppure metri di tessuto coprivano i passanti, dai piedi alla testa, e la stoffa avanzava, per giunta. Li riparava dal caldo, da occhi indiscreti, falsi giudizi. Ho desiderato anche io metri di tessuto a coprirmi quando sentivo occhi curiosi su di me, troppo occidentale, mi avrebbero permesso di camminare serena e sicura. Via, si va, camminiamo, c’è tanta gente.

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